di Francesco Carrino
Il giudice non ha la facoltà di mettere in liquidazione il fondo patrimoniale nel contesto di un fallimento.
Infatti, i beni contenuti all’interno del fondo patrimoniale sono considerati un patrimonio separato, destinato esclusivamente a soddisfare i creditori in caso di debiti contratti per le necessità familiari, che tipicamente non includono i debiti contratti dal soggetto fallito nell’ambito dell’attività imprenditoriale.
Questo principio è stato confermato dalla sentenza 18164/23, emanata il 26 giugno dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione. La sentenza ribadisce l’inesistenza giuridica del fondo patrimoniale quale oggetto di esecuzione nel contesto di un procedimento di fallimento.
Inesistenza giuridica
Il ricorso presentato dal fallito e dalla moglie è stato accolto, dopo che la società ha portato i libri in tribunale. La Suprema Corte ha cassato il decreto del tribunale e, nel merito, ha dichiarato la “giuridica inesistenza” del provvedimento di acquisizione.
Si solleva la questione della violazione dell’articolo 46 della Legge Fallimentare, che espressamente prevede che “i beni costituiti dal fallito in fondo patrimoniale” e i relativi frutti non rientrano nel fallimento, “salvo quanto disposto dall’articolo 170 del Codice Civile”.
Il giudice, senza neppure ascoltare il fallito, non può includere nella procedura i beni che rappresentano un patrimonio separato, soprattutto quando il provvedimento incide anche sui diritti della moglie, coniuge non fallita.
La disposizione per l’assegnazione di beni attraverso il procedimento di revoca si applica solo quando è incontrovertibile che tali beni fanno parte del patrimonio del debitore, non quando esiste una disposizione che esclude esplicitamente tale appartenenza.