estratto dall’articolo di Marco Capponi su Italia Oggi.
«Non mi preoccupa la tecnologia dell’AI in sé, ma il fatto che Microsoft, Google e pochissimi altri controllino questa rivoluzione». Così il professor Mario Rasetti, docente emerito di Fisica Teoretica al Politecnico di Torino e presidente del comitato scientifico dell’Istituto Centai (centro sull’intelligenza artificiale di cui Intesa Sanpaolo ha una quota del 49%), ha aperto il suo intervento nel corso dell’Artificial Intelligence Day di Class Editori che si è svolto ieri. «Vorrei spendere una parola di incoraggiamento nei confronti della politica europea affinché contribuisca a creare regole comuni».
Il vero problema insomma è che a fronte di una tecnologia che «sarà sviluppata sempre meglio», manca ancora la cosa più importante: «Un’etica condivisa». E le big tech in campo non sono assolutamente disposte a scendere dal treno: «Microsoft è entrata così pesantemente nel gioco di ChatGpt», ha spiegato l’esperto, «perché chi guida l’azienda si ricorda bene i primi computer con le schede perforate, e poi il Dos, il mouse, il touch screen». Tutta l’evoluzione tecnologica insomma, e quanto sia stato importante essere i primi a controllarla. «Ora Microsoft mira a dire: i computer in futuro saranno comandati con la voce, parlando con loro come si parla con gli esseri umani: noi lo abbiamo reso possibile».
D’altronde, ha detto Rasetti, «la velocità e il cambiamento di scala di questa tecnologia sono sorprendenti». Due sono secondo lui i punti da cui partire. Primo, «perfino le neuroscienze non danno una definizione di intelligenza, e quindi vedere che la parola viene associata a una macchina, cioè ChatGpt, fa un po’ sorridere». Il software di OpenAI, ha evidenziato il docente, «apprende e basta: sarebbe un gravissimo errore pensare che il cervello umano non sia infinitamente più potente». Secondo, l’intelligenza artificiale «non è ancora una scienza: direi piuttosto che è una pratica». Una pratica raffinata, certo, «ma se andiamo a scavare nel profondo dobbiamo prima capire a quali domande vogliamo rispondere e con quali strumenti. Fino a che noi facciamo le domande e ChatGpt dà le risposte non ci sono rischi di sostituzione». A questo punto Rasetti ha fatto ricorso a un esempio: «Facciamo finta di parlare con un amico, che si chiama ChatGpt 4 (l’ultima evoluzione del chatbot di OpenAI, ndr), che sa tutto sullo scibile umano e si esprime con linguaggio appropriato e corretto: sa tutto, ma non sa provare emozioni e sentimenti». ChatGpt e simili, in buona sostanza, «sono e saranno sempre macchine generative, non creative». Questo, secondo il direttore scientifico di Centai, è l’aspetto che garantirà sempre il primato umano. Al contempo Rasetti, tra i massimi esperti in Italia del tema AI, non è stato tra i firmatari della proposta di moratoria allo sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa che ha avuto come più illustre promotore il ceo di Tesla, Elon Musk. «Credo che il processo creativo non debba essere mai fermato», ha sottolineato. Il rischio di automazione del pensiero? «Non vedo perché una macchina, anche intelligente, debba diventare un maniaco sociopatico che prende il controllo sulla persona che l’ha creata».