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Liberarsi dalla morsa dei mercati tradizionali è possibile? Si, con i vini da investimento

I fine wines o vini da investimento sono, da oltre un decennio, il viatico più sicuro per poter investire sfuggendo alle logiche perverse della finanza globale.

Mettiamo bene in chiaro le cose, sin dall’inizio: non esiste un investimento sicuro al 100%. Esistono tuttavia asset che possono garantire una notevolissima solidità finanziaria, dovuta al fatto di essere decorrelati dalle dinamiche e dalla volatilità del mercato azionario.

I fine wines o vini da investimento, sono definiti beni rifugio (o safe havens) proprio per questa loro connaturata caratteristica: la loro correlazione con i prodotti finanziari tradizionali e con le volubili dinamiche del mercato globale è di circa lo 0,03%.

Un’inezia.

In particolare i beni rifugio sono tali poiché il loro valore intrinseco resta costante nel tempo, anche in situazioni particolari in cui altre classi di attività, di solito quelle più a rischio, subiscono svalutazioni più o meno significative.

Ecco perché, sotto la guida di un esperto, i vini da investimento sembrano essere la soluzione ideale per coloro i quali vogliano costruire un portfolio forte e diversificato, tutelando il proprio patrimonio.

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Detto, questo, e rappacificati con la nostra etica e morale, possiamo procedere con una disamina più approfondita dell’argomento.

Che cosa sono i fine wines (o vini da investimento)?

Nel corso delle vostre esplorazioni nel mondo degli investimenti alternativi vi sarete quasi sicuramente imbattuti in questo termine: fine wines.

L’espressione inglese identifica i vini da investimento (o vini rari, da collezione). Ma quali sono le caratteristiche che rendono tale un vino di pregio?

  • deve essere un prodotto di altissima qualità, che esprime le caratteristiche di una zona d’origine delimitata e delle varietà d’uva da cui è ricavato;
  • deve rappresentare una certa annata ben specifica;
  • le bottiglie devono essere prodotte in quantità limitata;
  • deve maturare per lungo tempo;
  • è soggetto al punteggio dei critici;
  • deve dimostrare una liquidità del mercato con track record di prezzo e performance.

Analizziamo, velocemente questi 6 punti.

Un fine wine deve essere un prodotto di eccellenza, derivante da territori e aree geografiche vocate e prodotto da cantine con un certo pedigree alle spalle. Naturalmente queste sono condizioni fondamentali ma non vincolanti e può accadere anche che gli schemi consolidati vengano sovvertiti.

Si pensi al caso del Bolgheri Sassicaia, un vino coraggioso prodotto in maniera non canonica (l’idea era quello di creare un bordolese della Maremma, impensabile a quell’epoca…), in un territorio considerato non particolarmente idoneo, che ebbe un exploit dal 1968 in poi e che oggi è considerato uno dei migliori vini italiani.

Per chi fosse interessato consiglio vivamente di andare a leggere la storia di Mario Incisa e della tenuta di San Guido.

Ma non siamo qui per farci prendere da facili sentimentalismi, anche se il vino è ricco di questi aneddoti e chi decide di investire in esso non potrà che innamorarsene.

L’annata è una caratteristica fondamentale perché ogni ciclo stagionale (con le sue piogge, i suoi soli e le differenti condizioni meteo) condiziona la qualità della produzione vitivinicola, rendendo unica e irripetibile una produzione. Ecco perché un Masseto IGT del 2014 ha un valore ben differente rispetto a uno del 2018.

Certo, più un vino invecchia più il suo valore cresce, questo soprattutto perché il concetto di invecchiamento va di pari passo con quello di affinamento, di maturazione: sono le proprietà organolettiche a migliorare con il trascorrere dei mesi e a rendere perciò più desiderabile una bottiglia.

Il fattore più rilevante, tuttavia, è il giudizio dei critici: questi Titani dalle 100 braccia, queste enoiche semi divinità hanno il potere di condizionare il prezzo finale di un vino di oltre il 20%.

Se un Robert Parker, un James Suckling, una Jeannie Cho Lee o una Jancis Robinson (vere star del mondo dei critici del vino) attribuiscono a una bottiglia un punteggio elevato, il suo prezzo schizzerà alle stelle.

Questo comporterà, a sua volta, l’incremento della richiesta sul mercato, a fronte di una produzione limitata. Le compravendite si moltiplicheranno e quindi aumenterà quella che si chiama la liquidità di un asset, ovvero la quantità di volte con cui esso viene scambiato.

Capite bene, dunque, che il mercato dei fine wines è sottoposto alla cara vecchia legge della domanda e dell’offerta. E poiché, a fronte di una produzione sempre costante, negli ultimi 10 anni, la domanda è in costante crescita, l’investimento enoico è sicuramente una decisione saggia per tutti coloro che vogliano tutelare il proprio patrimonio senza essere soggetti alle fluttuazioni del mercato azionario.

Qualche dato inconfutabile: perché investire in vini da investimento pregiati conviene più che investire in Borsa.

I vini da investimento rappresentano l’1% delle produzione mondiale. Ciò li inserisce di diritto nella categoria delle rarità in ambito vitivinicolo.

Secondo l’autorevole Knight Frank Luxury Investment Index la redditività degli investimenti enoici è cresciuta del 20% negli ultimi 12 mesi e di quasi il 200% se consideriamo gli ultimi 10 anni.

Perché questi dati così positivi?

Beh, la questione è, come già detto, la bassa correlazione di questi asset con i mercati azionari, il che li tiene al riparo dai maremoti dovuto a problematiche internazionali, come crisi energetiche o belliche.

Liv-Ex, la piattaforma di trading più autorevole in materia di fine wines, ci narra di un +23% nel 2021 e di un + 7,1% nel 2022.

Ciò significa che i fine wines continuano a essere, secondo un trend che non si arresta da oltre 30 anni, una copertura importante contro l’inflazione.

Il consumo di etichette di pregio all’interno dei locali di ristorazione è infatti in costante crescita. Dati ISTAT del 2022 descrivono un + 22,3% nelle vendite di food&wine; a migliorare la situazione c’è un ulteriore dato: il 35% dei consumatori prevede un aumento della spesa per l’acquisto di bottiglia di alta gamma in ristornate per il prossimo futuro.

Ci sono altri due fattori interessanti: secondo il Luxury Market Report (della celebre casa d’aste Christie’s) il 24% degli acquisti di vini pregiati è da attribuirsi ai cosiddetti Millennials, il che andrebbe ad indicare, per il futuro, ulteriori margini di crescita per l’ambito enoico.

A ciò si aggiunge la questione orientale: in India il vino è la bevanda alcolica con il maggior incremento di consumo, mentre in Asia il numero di persone che spendono oltre 250 $ a bottiglia è cresciuto del 75%.

Secondo il Nomisma Wine Monitor l’industria vinicola cinese ha una prospettiva di crescita del 25% nei prossimi 2/3 anni.

Insomma: quando il mercato azionario soffre il vino pregiato non solo si dimostra solido, ma si assicura prezzi in salita, con prospettive di crescita sempre in aumento.

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Investire in vino ovvero come iniziare una nuova vita

Va bene, il titolo di questo paragrafo è certamente un po’ pomposo e esagerato (clickbait si potrebbe dire), eppur tuttavia la scelta di diversificare il proprio portfolio investendo in vini rari si prospetta sempre più come un’alternativa di buon senso, capace di dare realmente una svolta ai nostri investimenti.

Anzitutto, dopo essere stati sommersi da dati e percentuali ( e quindi da osservazioni oggettive ma astratte) è bene soffermarsi su alcune ulteriori riflessioni: i vini da investimento sono beni tangibili, non sistemi finanziari e questo porta con sé due ulteriori vantaggi.

Il primo è che essi sono sotto il totale controllo da parte dell’investitore: una volta scelto un portfolio analyst di riferimento, capace di consigliarvi su quali asset è meglio puntare, le vostre bottiglie verranno stoccate in magazzini fiscali, che ne consentiranno una conservazione adeguata, al riparo da sbalzi di umidità, calore, luce e vibrazioni.

Essendo beni tangibili e da collezione, inoltre, i fine wines non sono sottoposti alle tasse sulle plusvalenze. Si avete capito bene: no capital gain tax.

Un vino da investimento, in media, produce un introito del 10/12% annuo e può essere liquidato nel medio-lungo periodo (già dopo 4/6 anni) portando notevoli vantaggi per il proprio patrimonio. Ovviamente, maturando nel tempo, il loro valore è destinato a aumentare.

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Conclusioni, opportunità e un onesto consiglio

A chiosa di questo lungo articolo, c’è da sottolineare un aspetto fondamentale: i fine wines non sono la Gerusalemme Celeste. Qualche piccolo fattore di rischio, soprattutto legato all’inesperienza e alla non conoscenza del settore, è sicuramente da prendere in considerazione.

Si pensi, per esempio, alla campagna en primeur che è in rampa di lancio ogni anno, proprio in questo periodo.

Si tratta di investire in quelli che, comunemente, vengono definiti futures del vino, ovvero vini giovani (francesi, per lo più del bordolese) che vengo acquistati quando ancora sono in fase di affinamento nelle botti (barriques).

Essi vengono valutati dai critici di cui abbiamo parlato poc’anzi, i quali attribuiscono loro una votazione.

A questo punto le società che investono in vini (attenzione, i privati non vi hanno accesso) possono decidere di comprare quel particolare prodotto prima che sia imbottigliato e immesso sul mercato.

Questo farà sì che, finita la fase di maturazione – che dura circa 24 mesi – il vino possa essere commercializzato.

I critici opereranno allora una seconda valutazione, confermando o aumentando il proprio punteggio.

Riuscite a immaginare cosa accade se la valutazione lievita? Eh già: anche il valore, già maggiorato rispetto al prezzo iniziale d’acquisto, schiza alle stelle, portando a guadagni che possono arrivare a cifre davvero notevoli (anche 30/40% in più rispetto al prezzo d’acquisto).

Tutto troppo facile, direte. In effetti non avete tutti i torti.

Primo, come detto, l’accesso ai vini en primeur non è per tutti e quindi è necessario affidarsi a società di intermediazione per poter investire in questi asset.

Secondo basta sbagliare a subodorare le potenzialità di un vino per prendere delle grosse cantonate. In effetti non tutti i vini giovani, pur essendo fuoriclasse in potenza, si rivelano davvero tali. E così è facile trovarsi ad aver puntato su una marginalità sicura e, alla fine della fiera, a doverci invece rimettere.

Per questo è sempre bene appoggiarsi a un esperto, una persona che non solo sia un intenditore di vini, ma anche una figura immersa nel settore, capace di sfruttare le propria rete di conoscenze e di saper subodorare l’andamento del mercato enoico con una certa perizia ed abilità.

Da parte mia, dopo lunghe ricerche, ho identificato in Daniel Carnio, esperto di vini e sommelier con esperienza internazionale, oltre che portfolio analyst di comprovata esperienza, la figura più adatta e autorevole in materia.

Se vuoi avere una consulenza gratuita con il suo team, ti sarà sufficiente cliccare su questo link.

Insomma, il mercato dei fine wines sembra essere una vera e propria opportunità da cogliere, soprattuto per contrastare un sistema finanziario che ha messo in ginocchio milioni di investitori grazie a speculazioni e giochi di potere che portano i soldi solo nelle tasche dei pochi che hanno le mani in pasta.

Non voglio spingermi a dire che il mercato dei vini è una sorta di democratizzazione delle dinamiche finanziarie, ma certamente è un’arma in possesso degli investitori per tutelare il proprio patrimonio e garantire a se stessi e ai propri figli un futuro un po’ più sereno, per quanto possibile in questo tipo di società.

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