Il Niger è il settimo maggior produttore mondiale di uranio, un componente cruciale per il combustibile delle centrali nucleari. I giacimenti si concentrano prevalentemente nella regione di Arlit, nel nordovest del paese, e furono scoperti da geologi francesi negli anni Cinquanta, quando il Niger era ancora una colonia francese.
L’estrazione e l’utilizzo di questo metallo radioattivo sono ancora oggi amministrati principalmente da aziende francesi come Orano. Il Niger è responsabile per circa il 10% dell’uranio consumato nelle centrali nucleari francesi e ha importato il 24% dell’uranio consumato dall’Unione europea nel 2021.
Il mercato dell’uranio, spesso misconosciuto e poco seguito, riveste un ruolo cruciale nella fase attuale di transizione verso fonti energetiche più pulite.
IL RUOLO DELLA RUSSIA
Non ci sono prove concrete per affermare che il Cremlino abbia sostenuto direttamente il colpo di stato in Nigeria, ma nel caso in cui il Niger dovesse entrare nell’orbita di influenza russa, a dichiarato l’agenzia di stampa Bloomberg “il mondo sarebbe ancora più dipendente da Mosca, e dai suoi alleati, per quanto riguarda l’approvvigionamento di energia atomica”. Attualmente, il Kazakistan e l’Uzbekistan, due ex-repubbliche sovietiche, rappresentano i principali produttori di uranio a livello mondiale, fornendo circa il 50% del fabbisogno globale. Tuttavia, se ad essi si aggiungessero anche Russia e Niger, la quota di approvvigionamento salirebbe a poco più del 60%.
La gestione dell’estrazione dell’uranio, tuttavia, presenta limiti nel garantire un potere geopolitico che comunque è nei numeri al momento. Questo perchè a differenza del gas, gli impianti nucleari non utilizzano direttamente il minerale grezzo appena estratto; è necessario un processo di lavorazione per trasformarlo in combustibile. Pertanto, la cosa più importante resta controllare e l’influenzare la catena di approvvigionamento dell’energia atomica che si esercita principalmente attraverso il controllo della fase di conversione e l’arricchimento dell’uranio per renderlo utilizzabile come combustibile nei reattori.
Aperta questa parentesi, resta il fatto che la Russia possiede un notevole dominio nel mercato mondiale dell’arricchimento dell’uranio, rappresentando quasi il 45% della quota di mercato, secondo i dati della World Nuclear Association. Questo successo è stato raggiunto grazie all’efficienza dei grandi impianti di Angarsk, Novouralsk, Zelenogorsk e Seversk. Tuttavia, gli Stati Uniti vedono questo scenario come una “vulnerabilità strategica” e considerano insostenibile la dipendenza da questa fonte, soprattutto in considerazione dei piani nazionali di espansione della capacità nucleare. Nel 2022, circa un terzo dell’uranio arricchito consumato dalle società elettriche statunitensi proveniva dalla Russia, con una spesa di quasi 1 miliardo di dollari pagati a compagnie russe controllate dal Cremlino. Questa situazione crea una serie di problematiche che richiederà una ben ponderata da parte degli Stati Uniti…
A causa di questa dipendenza, il governo degli Stati Uniti non ha adottato un divieto sulle importazioni di combustibile nucleare russo a seguito dell’invasione dell’Ucraina, nonostante le sanzioni imposte sugli idrocarburi.
In passato, gli Stati Uniti godevano di un’auto-sufficienza in termini di uranio; tuttavia, con la fine della Guerra fredda, hanno abbandonato sia l’estrazione mineraria dell’uranio sia – e ciò è stato probabilmente l’errore strategico più grave – i processi di conversione e arricchimento. Di conseguenza, l’America è divenuta dipendente dalle importazioni dall’estero.